Quando avevo 9 anni un mio compagno delle elementari mi disse che stava scrivendo un libro. Io lo guardai con ammirazione e tra me e me pensai che mi sarebbe piaciuto fare lo stesso. Poi un secondo pensiero fece capolino nella mia testa di giovane novenne “è troppo difficile, un libro è troppo lungo da scrivere”. Avrei lasciato ad altri l’ardua impresa.
Quando avevo 11 anni, mentre eravamo in viaggio in camper, ricordo che ci fermammo in un’area di sosta lungo la strada. Era ormai sera e il sole stava tramontando. Io uscii dalla porta del camper, feci gli scalini e mi misi seduta sull’asfalto a guardare il tramonto. Dal nulla mi uscirono queste parole “le luci del tramonto sfumavano nel lontano orizzonte”.
Mi sembrò una frase degna di un vero scrittore e con un’emozione e una soddisfazione mai provata prima presi il mio diario del tempo e mi annotai quella frase. Forse dopotutto, con il tempo sarei stata capace di scrivere altre cose così belle.
Quando avevo 14 anni, Massimo Melchiori, un mio amico di Vicenza ed una delle persone che mi ha profondamente emozionato con la sua capacità unica di usare parole che fanno sussultare l’animo, mi disse che stava scrivendo un libro. Non ricordo se lo stava scrivendo con la sua fidanzatina del tempo, ma ricordo bene che mi parlò di un progetto di scrivere con lei un libro a quattro mani. Io ne avevo due di mani, e mi sembrava già quella un’impresa impossibile, e lui già sognava ancora più in grande. Lo guardai con ammirazione, pensando che se c’era qualcuno nato per scrivere in questa vita, quello era senza dubbio lui.
Quando avevo 16 anni, mia Zia Maura mi regalò il mio primo taccuino Moleskine: ne scrivo la marca, non per fare la pubblicità alla ormai nota azienda, ma perché quando lo aprii e ne lessi la storia, mi sembrò per la prima volta di entrare a far parte di quella cerchia di persone che si chiamano “scrittori” e che riescono a imprigionare e liberare sensazioni su inchiostro, facendo diventare il loro animo immortale. Era il 1998 ed ero l’unica in tutta la mia città ad avere con me sempre questo taccuino, su cui scrivevo incessantemente ad ogni intervallo scolastico e la sera nella mia cameretta.
Quando avevo 17 anni incontrai Daniele Marcassa. Daniele era ed è rimasto un’artista. Mentre mi operavo nell’estate del 1999, Daniele mi regalò “Fiesta” di Ernest Hemingway. Lo lessi tutto d’un fiato. E me ne innamorai. Daniele mi fece vedere il mondo con gli occhi di chi coglie quell’attimo di eternità che solo gli artisti sanno vedere. Daniele mi fece sentire cosa fosse la poesia della vita. Daniele è stato dopo mio papà Bruno, il mio più grande mentore di scrittura. Se sento il fuoco nelle vene ogni volta che scrivo, gran parte del merito va a Daniele.

Autografando il libro. Chiara e Siempreclara INSIEME!
Di anni oggi ne ho il doppio. Di libri ne ho pubblicati due e sto scrivendo il terzo. Dall’estate del 1999 sono trascorsi altri 17 anni ed io come chiunque altro, di strada ne ho percorsa parecchia. Ma c’è stato un momento ieri nella Sala Babel del Salone Internazionale del Libro di Torino, in cui ho sentito che un cerchio della mia vita si stava chiudendo, per lasciare spazio al nuovo.
Ieri solo io potevo sapere cosa significasse per me stare lì a presentare il libro di Jack e il mio. Ieri solo io potevo sapere cosa significa per me scrivere dediche sui libri: solo io potevo saperlo, perché sempre io sono la stessa persona che a 19 anni autografava le foto per darle agli amici scherzando sul fatto che dovevo allenarmi a fare gli autografi per quando li avrei fatti nei miei libri.
Ieri solo io sapevo tutta la mia storia. E allora in questo momento di incredibile apice della mia vita lavorativa, oltre che a sentirmi profondamente grata per le decine di persone che sul mio cammino hanno “cospirato” per il mio successo di oggi, non posso fare a meno di pensare una volta ancora che sono la mia persona con cui passerò il resto della mia vita. E sento tutto, nello stesso istante. E mi sento profondamente complice di me stessa.
Grazie a Monica Fava che mi ha permesso di vivere un sogno. Grazie. A te che mi leggi. Grazie.
Dalla tua coach Chiara, ma anche da Siempreclara: perché è lei la ragazza che sta dietro ogni mio successo. Quella che scriveva nel 1998 sul taccuino e che non hai smesso di credere in me.
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