Domenica mattina. Piove. Alex è a concludere il primo weekend della Scuola per Supercoach. Io seduta sul tavolo della cucina, sorseggio il mio caffé e tra poco mi dedicherò al lavoro di burocrazia, perché martedì vado in ferie e mi piacerebbe chiudere le cose aperte.
Ma prima di fare tutto questo ho voglia di fermarmi e scrivere. Se ieri mattina ho scritto per mantenere una promessa, stamattina scrivo perché non potrei fare a meno di farlo.
Il tema di questa mattina sarà il calore. Quel calore e quella gioia di vivere e godersi la vita che ci scalda l’anima e rende tutto più bello.
Il protagonista del mio post sarà un altro membro della mia famiglia, un protagonista che nomino molto meno di Alex, di mia mamma, di mia sorella Sara o delle mie due zie Maura e Daniela.
Si tratta di mio padre, Bruno, affettuosamente ribattezzato da tutti i miei amici più cari “IL BRUNO”.

Lo sguardo gioioso del Bruno.
Mio padre è molto diverso da mia madre. Talmente diverso che a volte viene da chiedersi come diavolo siano riusciti a non uccidersi in 40 anni e passa di matrimonio. Eppure mio padre, sebbene per iniziare davvero a capirlo mi ci siano voluti anni, mi ha trasmesso la gioia di vivere. Le persone quando mi incontrano di persona spesso fanno un sacco di commenti e complimenti sul mio modo di guardare dritto negli occhi. Ecco, se ci fosse un copyright sul nostro sguardo, i diritti del mio li dovrei pagare a mio padre.
Mio padre è quello che quando andavamo in campeggio con il camper, appena avevamo sistemato le cose fondamentali, spariva per due ore e se chiedevamo a mamma dove fosse la risposta era:
“Tuo padre è alle pubbliche relazioni.”
Che diamine significava? Semplicemente che stava facendo il giro del campeggio per capire chi ci fosse di interessante da conoscere. Di lì a due ore sarebbe tornato con dei perfetti sconosciuti ridendo e scherzando invitandoli a sedersi con noi e a fare un aperitivo (perché diciamocelo, è sempre il momento giusto per fare un aperitivo in casa Grandin).
Mio padre è quello che nel 1988 mentre eravamo in fila con il motore spento alla vecchia dogana che separava la Ex-Jugoslavia con la Grecia smontò dalla cabina di guida del camper e invitò gli automobilisti vicini a bersi con lui dentro in camper un bicchiere di Prosecco.
Mio padre è quello che parla qualsiasi lingua senza occuparsi di osservare una grammatica perfetta, ma occupandosi di farsi capire sui punti fondamentali dagli altri individui.
Mio padre è anche quello che ama eccellere e spesso primeggiare e che odia perdere a carte, ma che alla fine poi gli passa. E’ quello che si infiamma tanto rapidamente quando si sfiamma. E quello che smette di parlare quando ha troppi pensieri per la testa.
Mio padre è quello che quando avevo dieci anni mi ha riportato a sciare dopo che mi ero rotta la gamba, perché “quando si cade bisogna tornare in pista e vincere la paura”. Il Bruno.
Il Bruno è anche quello che quando di anni ne avevo undici e andammo di nuovo a sciare lui ed io, mi spinse a fare amicizia con il gruppo di bambini di Bologna della mia età che io guardavo da distante senza trovare il coraggio di avvicinarmi.
E alla mia esclamazione piena di terrore:
“Papà, ma io ho paura ad andarci a parlare da sola…”
“E di cosa hai paura? La cosa peggiore è che ti dicano che non vogliono stare con te. Ma se non ci provi come fai a sapere cosa ti diranno?”
E io tra me e me pensavo “Sì, facile per te che fai amicizia anche con i muri… mica tutti siamo come te.”
Ma poi ho capito e quando mi sono avvicinata con il cuore in gola a quei ragazzini di Bologna con cui poi mi sono scritta per anni, ho sentito che era vero quello che mi diceva mio papà: non ero in pericolo nell’andare nel mondo a conoscere persone, perchè la cosa peggiore che mi potessero dire era “no, grazie”.
Mio padre non ha mai fatto grosse conversazioni sulla vita, Dio, o il mondo come faceva mia madre con me. Direi anzi che la nostra conversazione è piuttosto scarna.
Eppure ci capiamo. Non a parole. Ci capiamo nel silenzio della sensazione.
Con mio papà guardavo i film di Bud Spencer e Terence Hill e ridevo. Con mio papà ci scambiamo foto quando siamo in Spagna: già perché è incredibile come i posti che lui ha amato della Spagna, in particolare Madrid e Alicante, siano gli stessi che amo io della Spagna.

Il Bruno ed io.
Credo onestamente che il rapporto padre-figlia per molti versi sia strano. O almeno lo è stato per me. Non è stato idilliaco né plateale. Ancora oggi nonostante io viva a 100 metri dalla casa dei miei vedo il Bruno a mala pena una volta alla settimana e lo sento anche meno. Eppure c’è qualcosa di silenzioso che ci tiene uniti e negli ultimi due anni sento ha portato la nostra relazione a un nuovo livello.
Allora, mi viene da dire che la cosa più bella che ho scoperto grazie a mio padre è che spesso per sentirci profondamente connessi a qualcuno, non servono parole. Ma basta il pensiero. Quello più vero, autentico e profondo, che sorpassa qualsiasi differenza e si connette alla gioia più pura dell’essere umano di fronte a te.
Quel pensiero fresco, leggero e gioioso che mi ha fatto vedere che la connessione più vera non viene dall’essere simili. Viene da vedersi davvero per ciò che si è senza la necessità di cambiarsi l’un l’altro.
Quindi papà, questo post è per te. Ma è anche per tutti i papà del mondo che magari non hanno grosse cose da dire ai loro figli, ma in un modo totalmente unico ci sono quando serve senza troppe pretese…
Un abbraccio dalla vostra coach,
Chiara
Siamo su un traghetto per il Pireo. Abbiamo conosciuto il Bruno. Un fenomeno.
Salve Alessandro, mi fa piacere che abbiate conosciuto “il Bruno”. Tornate a trovarmi qui sul blog quando volete.