Avevo 7 anni. Stavo giocando nel vialetto di casa. Il cancello era chiuso, il sole splendeva. Ricordo ancora i suoi occhi. Ricordo ancora la sensazione che mi trasmise. Era la prima volta che parlavo con una persona “non italiana”. Lui aveva un accento strano, mi disse che era scappato dalla guerra. Quella della ex-Jugoslavia. Aveva un figlio della mia età e non ricordo il suo nome.
Ho parecchia memoria… ricordo la maggior parte di quello che ho vissuto come se fosse ieri, ma non ricordo il suo nome. Eppure ricordo il momento in cui me lo disse, mentre era in piedi davanti al cancello ed io seduta a terra.
Mi domandò il mio, io gli risposi. Ci guardammo in silenzio e ci venne da sorriderci. Mi era sempre stato detto di non parlare con gli sconosciuti, ma quell’uomo non era uno sconosciuto. Non nel senso in cui mi era stato insegnato. Non era pericoloso, sapevo che potevo fidarmi. Aveva lo sguardo profondo, aveva sofferto tanto. Mi guardò con affetto come se potesse finalmente stabilire un vero contatto umano.
In quegli attimi di totale silenzio tra noi, non erano due sconosciuti quelli che si stavano sorridendo. E io nel suo sguardo mi sentii a casa. Per me quell’uomo aveva gli occhi di Dio.
Per me Dio era facile da riconoscere. Era quella sensazione che provavo quando sentivo pace nel cuore, quando vedevo la bellezza nel mondo oltre l’imperfezione, quando mi sentivo unita a qualcuno senza parole, quando comprendevo un altro essere umano al volo con una sola occhiata.
Non importa se lo si chiama Dio, Vita, energia cosmica. A me i nomi, non importano granché. Parafrasando Shakespeare, se il sole non si chiamasse sole, brillerebbe comunque. Ed io non ho nessun bisogno di ricordare il nome di quell’uomo, per ricordare perfettamente la sensazione che impresse nel mio animo il suo sguardo.
Da quando insegno i 3 Principi, mi sono resa conto di aver eliminato praticamente tutti i criteri di valutazione che usavo prima per sapere se il lavoro di coaching con il cliente stava avendo o meno successo. Ne ho tenuto solo uno: quello sguardo. La luce che si accende nello sguardo del cliente, per me è il criterio più importante di valutazione.
Esiste un momento in cui la persona di fronte a me, prima ha gli occhi spenti, travagliati, confusi. Poi improvvisamente si illumina. Tutto appare chiaro. E lei torna a vedere la vita da una prospettiva nuova.
Anche la parola “coaching” è un’etichetta. Vuol dire tutto, vuol dire niente.
Quello che faccio con le persone è alla fine dei conti sempre la stessa cosa: le aiuto a vedere con quella lucidità, con quella luce, con quello sguardo la loro vita. Sto accanto a loro il tempo che serve perché possano vedere quell’unica cosa che per loro conta davvero. Tutto il resto è cosa per me di poco conto, perché quando una persona torna a VEDERE, saprà cosa fare, come farlo e quando farlo.
Non è forse questo il fine più alto nel creare quello che per noi conta?
Sapere cosa fare, come farlo e quando farlo, a modo nostro. Senza snaturarci… con mente lucida e un cuore colmo di bellezza (o come dico a me stessa “ubriaco di vita”).
Quando insegno, o faccio coaching, o sono semplicemente nel mondo, ricerco quello sguardo, e so con precisione che quando una persona torna a sentirsi a casa dentro di sé, i suoi occhi si accederanno di quell’inconfondibile sguardo. Quello sguardo non ha età, bandiera, partito, ideologia, sesso. Quello sguardo è universale. Ed è stupendo.
Quando la persona guarda la sua vita, le sue sfide, i suoi sogni attraverso quello sguardo, non si sente più sbagliata. Non si sente più sola. Non si sente più spaventata. Ricorda improvvisamente che quello che cerca è sempre stato lì, in lei. E sente con ogni fibra del suo corpo, che creare quello che ama è alla sua portata.
E allora ricorda… ricorda di essere di più di quello che pensava. Smette di fingere perché non c’è nulla di cui avere paura nella verità di ciò che è davvero giusto per noi. E torna a vivere… a vivere davvero… a modo suo. Connessa agli altri come mai avrebbero creduto possibile.
Cercherò sempre quello sguardo nel mondo.
E l’unica cosa di cui mai mi stancherò sarà quella di accogliere tutte le fragilità mie e degli altri mentre con quegli occhi ti chiedono solo di essere disposte a vederle per quello che davvero sono, e non per quello che pensano di dover essere.
Buon weekend della liberazione… quella vera… che parte dall’animo e si sprigiona con forza inarrestabile attraversando la vita in tutta la sua infinita bellezza.
Chiara
Questo post è magnifico! E si vede che parte da vita vera e parla alla vita vera!!! Ciao ciao freedom girl ?
Ti darei gli occhi miei per vedere ciò che non vedi… Parafrasando Renato Zero… Ci hai offerto la possibilità di avere un nuovo sguardo sul mondo e su di noi. Grazie Chiara…
@Giovanna: Grazie a te per la condivisione nella libertà!
@Anna Maria Vella: uno degli sguardi che avevo in mente era anche il tuo. Lo dico sul serio… ci si sente davvero a casa quando si vede quello sguardo anche negli occhi degli altri!
Un grande abbraccio e aspetto i prossimi commenti!
Qualche anno fa ho fatto un sogno.
Ero nella cucina della casa in cui vivevo con i miei genitori e c’era un bambino indiano che mi guardava con i suoi profondissimi occhi scuri. Uno sguardo così pieno di amore che ancora lo ricordo e mi emoziona profondamente.
Non era uno sguardo di compatimento, lui era serio, non sorrideva condiscendente ma guardava e basta ed io mi sentivo preziosa e connessa con tutto.
@Monica Baucia: Non è incredibile rendersi conto di quanto, nonostante esperienze diverse, siamo simili? Grazie per questa condivisione così personale Monica! Ci vediamo al corso