Si dice che su questa terra ci siano posti magici. Luoghi in cui l’energia è mistica. Luoghi in cui il tempo sembra fermarsi. Uno di questi luoghi è a Fuerteventura e si chiama Ajuy.
Ajuy avevo deciso di vederla ancora prima di arrivare a Fuerteventura. Aveva attratto la mia attenzione per la sua collocazione: esattamente al centro, sulla costa Ovest dell’isola. Per la mia esperienza di isole, so che la costa Ovest solitamente è la più selvaggia: quella dove arriva meno gente, quella che rimane più nascosta, quella che non tutti hanno il tempo di scoprire. Il fattore fatica nel raggiungere alcuni luoghi è una benedizione perché preserva atmosfere magiche… come nella vita d’altronde.
Mentre percorriamo la strada che ci separa da Costa Calma ad Ajuy, decidiamo di fare una tappa intermedia. Sono giorni e giorni che in questo paesaggio desertico e solitario sogno di arrivare in cima a un monte.
L’occasione si presenta, quando la strada inizia a salire di altitudine ed un cartello turistico segnala un “mirador” ovvero un punto in cui paesaggisticamente parlando vale la pena fermarsi e ammirare la vastità di questo deserto semi roccioso.

A bordo strada, Fuertevenutra
Parcheggiamo l’auto a bordo strada, mi faccio scattare una foto con lo sfondo del mare, leghiamo in vita le giacche e ci incamminiamo lungo la scalinata in salita. In qualche minuto arriviamo al “mirador”.
C’è la rosa dei venti, un cannocchiale per guardare lontano, due tabelloni con scritte alcune informazioni turistiche e una costruzione in pietra circolare, una specie di postazione di osservazione astronomica. Contando noi, siamo in 8 esseri umani lassù. Troppi. Ci stiamo abituando troppo bene tra camminate nel nulla e spiagge quasi deserte.
Decidiamo senza doverci parlare di proseguire il percorso sulla cresta del monte che sale di un centinaio di metri ancora culminando su una delle vette più alte intorno a noi. Mentre saliamo mi passa il pensiero che siamo due incoscienti. Ho camminato abbastanza in montagna per sapere che non abbiamo scarpe adatte al terreno. Decidiamo di procedere con prudenza e a velocità ridotta… mai sottovalutare la roccia.
Con cautela e una certa dose di stress mentale mio, arriviamo in cima e ci stringiamo la mano come mi era stato insegnato tanti anni fa da un istruttore del CAI, che sosteneva che quando si giunge in vetta ci si congratula amichevolmente con gli altri compagni di “cordata”.

Deserto roccioso, Fuerteventura
Non c’è anima viva. Solo noi in cima al mondo. Credo che questa sensazione di immensità non me la scorderò più.
Se è questa la pace di Dio è una gran bella sensazione in cui dimorare e per un lungo istante non c’è più nulla nella mia testa. Mi sento come se le molecole del mio corpo non fossero più mie. Come se mi stessi smaterializzando e diventando tutt’uno con il vento, la roccia, il silenzio, Alex, il sole che splende, il cielo azzurro e limpido senza veli. Un corvo vola vicino a noi, ne udiamo il gracchiare. Spalanco le mani a croce. Voglio vivere con questa sensazione nel mio cuore per sempre. Per sempre.
Mentre sono lì con le braccia aperte mi passa per la testa una frase che Alex mi scrisse nel 2006 un anno dopo che ci eravamo messi insieme. La scrissi anche nel mio primo libro “ANDAVO O TORNAVO?” … diceva “Forse ci sposeremo io e te in cima a un monte”. Eccoci qui Alex… solo io e te in cima al monte.
IL PARADISO ALLA FINE DEL MONDO
Dopo circa 45 minuti rimontiamo in auto e iniziamo la discesa verso Ajuy. Le strade di Fuerteventura sono ben tenute e facili da percorrere. Non incrociamo altre auto e questo ci permette di andare esattamente alla velocità migliore per noi. L’arrivo ad Ajuy è idilliaco. Troviamo un parcheggio vuoto all’inizio del paese dove lasciamo l’auto e zaino in spalla scendiamo alla spiaggia.
Ajuy è il paradiso alla fine del mondo. E’ il paese di pescatori delle canzoni di Lucio Dalla. E’ il posto dove Gabriele Salvatores girerebbe un film poetico almeno quanto Mediterraneo o Marrakech Express. Questo è il luogo dove Stephen King in un mese scriverebbe un best seller, e quello in cui Alex ed io, non ho il minimo dubbio, torneremo ancora.
La sabbia è nera, vulcanica. Non avevo mai visto una spiaggia con sabbia nera. Le onde sono lunghe e maestose. Il piccolo paese che circonda la spiaggia un incanto. Qui gli occhi hanno spazio per continuare a spostarsi e cogliere opere d’arte fatte dalla natura ad ogni angolo.
Dopo esserci stesi al sole per un po’, decidiamo di pranzare in un ristorante interno che non ha la vista sul mare, perché il profumo della zuppa di lenticchie che esce dalla cucina è decisamente invitante. In realtà Alex avrebbe voluto mangiare alla BODEGUITA DE AJUY, un locale che su tripadvisor ha ottime recensioni, ma a quanto pare oggi aprirà solo nel pomeriggio. Pazienza, sarà per la prossima volta.
Prendiamo il menù del dia: zuppa di lenticchie e merluzzo alla piastra. La zuppa è deliziosa, il merluzzo è in più. Sarebbe bastata la zuppa a saziarci. Attacco bottone con il proprietario del ristorante, un uomo davvero squisito, con una voce così suadente che mi domando cosa gli abbia impedito di avere una carriera come doppiatore professionista.
Dopo un caffè, quattro chiacchiere e dieci minuti di digestione post-pranzo, decidiamo di andare a vedere “LAS CUEVAS DE AJUY”, ovvero cave scavate nella roccia, che pare assomiglino a covi di pirati. Lungo la passeggiata troviamo un ragazzo che vende orecchini, collane e bracciali fatte da lui. Compro un paio di orecchini e spero che questo ragazzo riesca per sempre a lavorare della sua passione, con quel sorriso e quella semplicità che mi ha conquistata. Condivido con Alex questo pensiero. Siamo sulla stessa lunghezza d’onda.

Scorci di Ajuy
Arriviamo alle cave e rimaniamo senza fiato. Uno spettacolo della natura così maestoso io non l’avevo mai visto. Quest’isola è una continua sorpresa. Esploriamo tutto con un certo timore reverenziale nei confronti dell’oceano che all’interno della cave ricorda costantemente la sua presenza facendo rimbombare il suono delle onde che si infrangono con impeto sulla scogliera. Confesso che sono attraversata da una scarica di paura ed eccitazione.
Dopo aver esplorato queste gigantesche caverne naturali, risaliamo alla luce del sole e scegliamo due posti diversi in cui sederci a guardare l’oceano.
Mentre osserviamo in silenzio la scogliera di fronte a noi, quasi simultaneamente, scorgiamo in lontananza la ragazza che una ventina di minuti fa era qui con noi, che cammina per un sentiero che procede a Nord. Decidiamo di avventurarci anche noi e la scelta si rivela ottima: dopo quasi quaranta minuti di sentiero ci ritroviamo in una spiaggia fantastica dove ci siamo solo noi, un camper e una macchina con cinque passeggeri che se ne stanno andando.

Esplorando i sentieri di Ajuy
Alex fa il bagno. Io rimango a controllare che non affoghi dato che la corrente è fortissima. Dio mio che giornata memorabile. A volte trascorriamo giornate intere nella nostra esistenza che facciamo fatica a distinguere da quella precedente, ma giornate come questa entreranno in quella lista che tra qualche anno a ripensarci non potremo fare a meno di ricordare come “quella giornata ad Ajuy”. Non servirà dire altro per richiamare una carrellata di istantanee che rimarranno indelebili nella mente mia e di Alex.
Non manca molto al tramonto ed entrambi decidiamo che è meglio imboccare la strada del ritorno. Alex cammina davanti, io dietro di qualche metro. Ogni tanto lui si gira e mi sorride. Non diciamo una parola, ma non è necessaria per sentire una connessione incredibile fra noi e con tutto quello che di stupendo ci circonda. Una volta tornati al paese proviamo un senso di profonda soddisfazione e con gioia vediamo che la “BODEGUITA DE AJUY” è aperta.
E’ doverosa una tappa prima di tornare a Costa Calma. Dopo un istante che siamo entrati, oltre che pensare che la tappa fosse “doverosa”, penso anche che sedersi in questo locale fosse destino. La Bodeguita de Ajuy è gestita da Giuseppe e Simona due fra gli italiani più meravigliosi che io abbia conosciuto all’estero. Tra noi quattro scatta subito feeling e ci ritroviamo a sorseggiare un meraviglioso aperitivo al tramonto allietati dalle storie di Giuseppe. Bevo una birra con limone… poi un’altra. E’ bellissimo. Sembra di conoscerci da sempre.
Nell’ora che trascorriamo alla Bodeguita de Ajuy, il locale si popola di altri italiani, di turisti, di gente del paese e alla fine, proprio come in un film, arriva anche il ragazzo che mi ha venduto gli orecchini sulla scogliera a godersi la sua birra di fine giornata.

La Bodeguita de Ajuy, Giuseppe, Simona e noi
Siamo nel bar più bello che ci sia, in un luogo alla fine del mondo. Siamo parte di un’immagine così bella ed effimera che sento una fitta di nostalgia al cuore, perché so che sto vivendo uno di quei momenti all’apice e che più di così non si può. Il cuore mi si riempie di bellezza, il sole tramonta. Giuseppe senza sapere nulla di me, senza che io lo chieda, senza che nessuno abbia mai nominato musica latina, mette su un merengue che si intitola “SUAVEMENTE” del cantante Elvis Crespo. E’ il primo merengue che io abbia mai ascoltato in vita mia e l’ho ascoltato a Madrid nel 2002, in quel viaggio che ha cambiato per sempre la mia esistenza.
Se la perfezione avesse un nome, Ajuy sarebbe uno dei suoi sinonimi. E nell’ultimo giorno della mia permanenza su questa terra, ripercorrendo gli attimi più intensi della mia vita, so che vedrò la mia mano appoggiata alla birra gelida che c’è sopra il tavolo in questo momento. Vedrò Alex sorridere accanto a me e alle mie spalle sentirò la voce roca di Giuseppe riferire un’ordinazione a Simona che sta dietro il bancone, e di fronte a me il tramonto di Ajuy sarà lì… ancora una volta… davanti ai miei occhi.
Grazie Fuerteventura. Grazie Ajuy.
Siempreclara… Chiara.
È sempre meraviglioso leggere quello che scrivi! Hai il dono di portare il lettore con te in quel fantastico mondo di bellezza che riempie il cuore! Grazie
@Sara: ogni volta che scrivo cose così, le persone che amo prendono vita nella sensazione che muove la mia mano. E tu sei sempre lì con me quando scrivo. Sempre.
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